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L’immaginario politico. Impegno, resistenza, ideologia

Bologna, 17-19 dicembre 2014

biennale cuvee, ok-offenens kulturhaus linz

 

Sullo stesso argomento
“Between, V, 10, 2015
PROGRAMMA

 

 

 

 

Tema

La politica, scriveva Stendhal nel Rosso e il nero, «è una pietra attaccata al collo della letteratura», «un colpo di pistola in un concerto». L’immagine, che gli è cara, ha ovviamente un tratto molto ironico, se pensiamo che si trova in un romanzo in cui tutto è politico ma in cui la politica, salvo eccezioni, non può essere espressa a piena voce, perché in questo mondo non ci sono nemici da affrontare a viso aperto e i mascalzoni si sono travestiti da persone “perbene”. Così al conformismo si risponde con l’ipocrisia, alla violenza con l’astuzia, alla menzogna con la dissimulazione. È un’ambiguità che testimonia in modo esemplare la natura complessa, spesso indiretta e traslata dei rapporti tra testi letterari e orizzonte politico, e in senso lato tra immaginario e ideologia. La storia di questo nesso è molto frastagliata, le sue modalità difformi e molteplici. Ma certo tocca alcuni nodi decisivi con cui le culture umane hanno elaborato e rappresentato i rapporti di forza, le logiche del potere e le dinamiche del vivere associato, in un’articolazione tra la sfera d’esperienza politica e la sfera d’esperienza artistica e simbolica.

Non è un caso che all’inizio di questa storia ci sia una comune radice discorsiva. La politica è strettamente legata all’esercizio del linguaggio, a un particolare uso della parola che si traduce nella sfera dell’azione. Secondo Aristotele, gli uomini sono soggetti politici perché possiedono la parola, cioè la facoltà di mettere in comune degli oggetti e di prendere decisioni a loro riguardo, soprattutto in rapporto ai concetti di giustizia e di ingiustizia. «L’attività politica – ha scritto Jacques Rancière − riconfigura la condivisione del sensibile. Introduce sulla scena comune oggetti e soggetti nuovi. Rende visibile ciò che era invisibile. Dà voce in qualità di soggetti parlanti a coloro che non erano ritenuti essere altro fuorché animali bercianti». È esattamente in questo spazio che si inserisce ciò che chiamiamo letteratura, soprattutto nella concezione che prende forma nel corso della modernità, quando il termine passa a designare non solo l’insieme delle «belle lettere» ma l’arte stessa dello scrivere, e anche un nuovo equilibrio dei poteri, una ridefinizione di ciò che la letteratura può fare in quanto letteratura. Dire che «tutto è politico» o che «non c’è nulla che non sia sociale e storico» (Jameson) significa quindi collocare la pratica letteraria (e in generale artistica, anche attraverso l’uso di altri media) in una precisa postazione storica, in un nodo di rapporti dialettici tra testo e contesto, a prescindere dal fatto che le opere parlino di politica e mostrino un contenuto esplicitamente o surrettiziamente ideologico.

È questo il nucleo teorico su cui si articolerà il convegno. Un orizzonte di problemi che si innesta direttamente sulle tendenze del dibattito attuale. Al di là di un interesse genealogico, l’opportunità di fare il punto della situazione appare infatti motivata anche dalla ricomparsa – proprio dopo la cosiddetta fine delle ideologie − di nozioni e parole d’ordine che sembravano scadute, appunto derubricate a «ideologia». Scrittori e artisti che riscoprono l’«impegno», convinti che l’arte possa e debba intervenire attivamente sul mondo politico-sociale (in Italia un caso per tutti, pagato anche sulla propria pelle: Roberto Saviano); studiosi che tentano di archiviare il nichilismo ludico del postmoderno per ritornare alla «realtà» o addirittura alla più beffarda delle fenici letterarie, il «realismo»; approcci e metodi (neostoricismo, studi culturali, studi postcoloniali, ecc.) che fanno del radicamento storico-politico dei testi il loro presupposto teorico, in un superamento di qualunque concezione autotelica dell’opera d’arte. Il tutto, paradossalmente, in una fase storica in cui le dinamiche politiche, economiche e sociali del tardo capitalismo sembrano giunte a una violenza e a una pervasività senza precedenti, estese ormai a livello globale. C’è dunque bisogno più che mai di un’ermeneutica del sospetto, di una critica sintomatica che possa decifrare un tessuto culturale pieno di cicatrici, contraddizioni e ambiguità.

 

Linee di ricerca

Si propongono qui alcune direzioni di ricerca, alle quali i relatori sono tenuti a conformarsi all’atto della proposta. Non saranno infatti accettate comunicazioni che non abbiano un’evidente pertinenza rispetto al tema del convegno e a tali linee-guida:

1) Forme dell’impegno. È il rapporto tra prassi artistica e azione politica, nelle fasi e forme che storicamente si sono succedute: dal poeta-vate all’intellettuale engagé, dallo scrittore-giornalista all’artista militante, fino al ritorno odierno di una concezione forte della scrittura e di una nuova presa sul reale, proprio nel momento in cui la cultura umanistico-letteraria vive una fase di stagnazione (o di aperto declino), in cui la società dello spettacolo celebra i suoi trionfi e pare definitivamente archiviata la funzione storica degli intellettuali.

2) Logiche del potere, pratiche di resistenza. Il rapporto tra scrittori e potere. Anche (o soprattutto) quando il potere non ha il volto truce della tirannide o della censura ma è una sostanza fluida, microscopica, che metabolizza e sfrutta a suo vantaggio anche ciò che gli si oppone. Esiste ancora uno spazio di resistenza? È possibile porsi davvero fuori, contro certe dinamiche e logiche, in un sistema in cui non sembra esistere alcun fuori? Quali sono i margini d’azione dell’artista «dissidente» rispetto alle leggi del mercato e dell’industria culturale? E quali sono le differenze tra i vari contesti storici e geografici, in una prospettiva di letteratura mondiale?

3) Rappresentazioni della politica. Il campo d’indagine è la tematizzazione esplicita, anche in chiave comparata o intermediale: romanzi a tesi, testi di denuncia, opere (anche teatrali o cinematografiche) che mettono in scena eventi, personaggi, ambienti o situazioni di tipo politico, con viva attenzione al corso della storia. Possibili declinazioni interne della sezione: guerre, terrorismo, stragi, movimenti, partiti e politica parlamentare, eco-criticism e politica ambientale.

4) La politica della letteratura. Una riflessione più strettamente teorica: non la politica come tema né come posizione assunta dallo scrittore, ma l’idea che la letteratura faccia politica in quanto letteratura, in quanto formazione storica implicata in una rete di presupposti, interessi e visioni spesso contrastanti. Dire che la letteratura fa politica significa infatti averne una particolare concezione, eventualmente contrapposta ad altre: un’idea di ciò che è, di ciò che fa, delle funzioni che assume, del modo in cui dati e materiali politici si traducono nella vita specifica degli stili e delle forme.

5) Teorie e interpretazioni politiche della letteratura. Teoria e metodo, modelli e strumenti. Gramsci, Lukács, Sartre, Raymond Williams, Fredric Jameson, Edward Said, Jacques Rancière… Sono molti gli studiosi che hanno elaborato teorie letterarie di tipo politico. Ma qual è la posta in gioco di queste proposte? Che cosa significa dare un’interpretazione politica dei testi letterari (o teatrali, cinematografici)? Ha ancora senso distinguere tra uso e interpretazione? Oppure qualunque interpretazione dipende sempre dall’uso che ne facciamo, cioè dalla nostra situazione nella storia, da un nodo di interessi e desideri, e dunque da una postazione politica?

6) Letteratura, politica e istituzione. Altra faccia possibile della dimensione politica della letteratura: il suo ruolo istituzionale, soprattutto nell’ambito di sistemi educativi come la scuola o l’università. L’insegnamento come pratica politica, mai neutra, calata nella storia e nel presente. Il sapere umanistico e letterario in un equilibrio di poteri sempre più instabile, tra cascami della tradizione, arroccamenti difensivi e bisogno di rinnovare metodi e strumenti per un mondo in rapidissima evoluzione. È qui che si giocano anche i rischi e le opportunità della comparatistica, in Italia e nel mondo.

 

Comitato scientifico e organizzativo

Silvia Albertazzi, Ferdinando Amigoni, Clotilde Bertoni, Federico Bertoni, Stefano Ercolino, Giulio Iacoli, Guido Mazzoni, Donata Meneghelli, Mauro Pala, Vanessa Pietrantonio, Beatrice Seligardi, Giacomo Tinelli.